Tema anno 2020/2021

“Proseguendo lungo la strada… annunciano la via della salvezza” (At 8,36;16,16)

 

Da La voce del rettore ne l’annuario 2020/21

Proseguiamo in seminario il cammino lungo la strada, insieme a tutta l’umanità sottoposti a questa prova, convinti che per quanto possa essere grande, il Signore non ci abbandonerà mai, cammina con noi. “Certo egli ti libererà dal laccio del cacciatore e dalla peste micidiale” (Sal. 91,3). Con la “fede”, non ci lasceremo paralizzare da questo evento disastroso che ci tiene bloccati, distanziati e ci fa percepire una minaccia gli uni per gli altri, una minaccia invisibile, che ha messo in ginocchio il mondo con la sua cesta quotidiana di morte e danni immensi. In questo scenario, la “lettura sapienziale” è essenziale. Dobbiamo comprendere la differenza tra la sicurezza nella vita e la salvezza, in un mondo supponente, dal quale, analisti e sociologi avevano decretato l’uscita di scena di Dio. L’attesa della salvezza, infatti, un tempo relegata alla religione come promessa nell’aldilà, il suo posto è stato preso della tecnica applicata alla medicina, salvezza da compiersi nell’al di qua. Un corpuscolo infinitesimale, però, ha infranto il mito prometeico e noi umani, ci ritroviamo improvvisamente smarriti e impauriti, e la paura della morte, ci ha obbligato a fare i conti con la nostra vulnerabilità. E’ bene ricordare che già il mondo greco aveva definito gli uomini come “mortali”. Solo gli dei erano immortali. La sicurezza la si raggiunge riconoscendo che siamo fragili, vulnerabili, come ricorda il grande scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin, “La morte è una incurabile debolezza degli esseri corporei”. Non si tratta di pensare sempre alla morte, ma di ricordare che siamo mortali.

 Una lettura sapienziale di ciò che stiamo vivendo la richiama Papa Francesco: “La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé. Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. In questo contesto, la domanda che Dio pone: «Chi manderò?», ci viene nuovamente rivolta e attende da noi una risposta generosa e convinta: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal male (cfr Mt 9,35-38; Lc 10,1-12)”. 

Come Seminario vogliamo prepararci ad annunciare “la via della salvezza”. E, proprio continuando una lettura sapienziale, è necessario capire: quale salvezza annunciare? Il kerygma. La storia è il luogo dove Dio manifesta la salvezza ricapitolandola nell’evento Gesù Cristo dove tutto non si conclude con una salvezza intramondana. Come Gesù, siamo chiamati a mettere in piedi le persone sempre e comunque, ma non come cultori della religione della salute fisica, considerata come unico e definitivo bene. Sulle realtà “ultime”, i cosiddetti “Novissimi”, è necessario superare una certa afasia. Noi sappiamo per grazia che non veniamo al mondo per caso e finiamo nel nulla, con la morte. Noi siamo stati salvati non dalla morte, ma nella morte e risurrezione di Gesù Cristo. Paolo ci ammonisce: “Ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1 Cor. 15, 17-19).Alla Chiesa tutta, ai seminaristi oggi, presbiteri domani, che ha la vocazione dell’annuncio di salvezza, come a Paolo nel Areopago di Atene, molti diranno che sull’argomento “risurrezione dai morti ci sentiranno un’altra volta”. Ma a noi tocca andare nelle agorà e annunciare questa salvezza, con coraggio e senza pavidità, perché la Parola di salvezza non è nostra, ma un dono che Dio fa all’umanità per liberarci dalla paura della morte, che agita l’istinto ingannevole del pensare a salvare solo se stessi e con le proprie mani, promettendo una felicità che è moneta falsa.