La tentazione del muro

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La tentazione del muro

Esiste ancora un lessico civile? È la domanda che attraversa tutto il libro di Massimo Recalcati, uno psicoanalista tra i più originali del nostro paese. Un testo molto attuale e affascinante, che con il titolo “La tentazione del muro”, affronta dal punto di vista scientifico e sociale, attraverso la psicoanalisi, il tema della relazione. Nell’era post covid le relazioni sono inevitabilmente cambiate. I confini si sono trasformati in muri, l’odio sembra distruggere ogni forma possibile di dialogo, la paura dello straniero domina, il fanatismo esalta fanatismi di purezza per cancellare l’esperienza della differenza e contaminazione, la libertà aspira a non avere più alcun limite. Attraverso i temi del confine, l’odio, l’ignoranza, il fanatismo, la libertà, l’autore fa un percorso attraverso la psiche umana. Mi soffermerò particolarmente sul tema del confine. Il pensiero dell’autore in molti tratti è ispirato da quello di Freud.

Non esiste lessico civile che non tenga conto dell’importanza del confine. La prima separazione è dentro noi stessi, secondo Bion, le cosiddette “barriere di contatto” che separa il conscio dall’inconscio, l’interno dall’esterno. Questo modello di separazione lo portiamo anche nelle relazioni personali e comunitarie. La spinta a delimitare il nostro territorio è un’espressione del carattere primariamente securitario della pulsione. Il gesto di tracciare il confine è un’operazione necessaria alla sopravvivenza della vita, è una circoscrizione della propria identità. Questo è vero non solo per la vita personale ma anche per quella comunitaria. L’attaccamento alle radici, alle tradizioni inevitabilmente creano dei confini con altre comunità. È qui secondo Recalcati che il sentimento dell’appartenenza prevale sulla libertà. L’adesione conformistica alla propria cultura sacrifica la propria libertà all’esigenza della propria sicurezza. Tutto ciò che oltrepassa il confine è vissuto come fonte di minaccia permanente. Qui ci sono le radici dell’abissale paura dello straniero. Tutto ciò che è altro a noi è percepito come straniero, perché porta il rischio di una contaminazione nefasta per la nostra identità. L’alterità è un pericolo che deve essere sventato, dal quale c’è bisogno di difendersi. Secondo Recalcati questa patologia del confine dimentica di considerare che oltre l’aspetto del delimitare la nostra identità, i confini permettono anche la garanzia dello scambio, della transizione, della comunicazione con lo straniero.

E l’esperienza fatta con il covid è significativa, lo straniero è stato associato a un virus pericoloso che ha portato al “delirio di contaminazione”. La reazione naturale è stata quella della difesa, della chiusura, della protezione, dell’immunizzazione per conservare la propria vita. Si sono delimitati bene i confini personali e comunitari, è prevalso il senso securitario che è insito dentro di noi. Si è costruito un muro, una tentazione che da sempre abita l’umano, è una difesa strenua e angosciata dei propri confini, si accetta tutto purché ci sia la propria difesa. Nel bene o nel male la difesa accompagna tutta la nostra vita. Alla fine ci si può accorgere che molte volte siamo stranieri anche allo stesso nostro cuore, che ha una vita oltre il nostro sentire. Quindi il nemico non è soltanto lo straniero, che sta dalla altra parte del paese, ma possiamo essere noi stessi. Quindi possiamo dire che la paura dell’altro in sostanza è la paura di noi stessi. Mi piace finire questo breve pensiero con le parole di J.-L. Nancy, “un’estraneità si rivela al cuore di ciò che vi è di più familiare”.

Carmine Esposito

(Comunità III anno)

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