The Whale: la redenzione passa attraverso la libertà

The Whale: la redenzione passa attraverso la libertà

Darren Aronofsky ha dato prova del suo talento girando un film squisitamente commovente, che alterna picchi di emotività e tenerezza con abissi di introspezione e riflessione. Abissi in cui lo spettatore è chiamato a immergersi, provocato e interrogato dallo sguardo malinconico e speranzoso di Charlie (Brendan Fraser, che ha pienamente meritato per il ruolo l’Oscar come miglior attore) e dalle riprese che si focalizzano senza tregua sul suo primo piano e sul corpo straziato e sofferente che richiamano da subito la nostra attenzione.

Charlie è obeso (da qui il nesso con la “balena” del titolo), a punto tale da ridursi al deambulatore pur di muoversi. Non è capace più di staccarsi dal divano, e lentamente il suo fisico inizia a vacillare: ha problemi respiratori e cardiovascolari, è sul filo del rasoio tra la vita e la morte. Ormai la sua esistenza si limita dietro una webcam da dove tiene lezioni di letteratura per un college. La sua è una continua fuga e nascondimento dal mondo: non accende mai la videocamera, è barricato in casa mentre fuori piove. La trama si gioca in una settimana, che suona tanto come un percorso verso una nuova creazione. In effetti, Charlie è alla ricerca di una svolta nella sua vita, attende una salvezza (la parola più usata – e abusata – del film), in nome della quale intervengono, come su di un palco, tutti i protagonisti. La sua infermiera, Liz, pretende di portarlo in ospedale, per lei la soluzione più semplice, ma lui si oppone, forse convinto dell’idea di essere rovinato. Scopriamo che Charlie è afflitto dalla vergogna e da un lancinante senso di colpa, tanto da sentire la sua vita come “disgustosa” e irrecuperabile: ha lasciato moglie e figlia per una relazione sentimentale occasionale, confusa, spezzata dal suicidio del suo compagno, per cui ha sfogato sul corpo la sua disperazione rifugiandosi nel cibo. Forse la sua salvezza potrebbe venire da Thomas, giovane missionario della setta New Life Church, che mosso da compassione pretende di convertirlo a forza di citare il Nuovo Testamento e propinare la fine del mondo da attendere con rassegnazione. Thomas mette più se stesso nelle belle parole che una fattiva carità cristiana, e questo provoca il rifiuto di Charlie, sentito messo in colpa dalle sue fredde (e ipocrite) “prediche”.

La svolta la abbiamo in una presa di coscienza del protagonista, che capisce di ritrovare fiducia in sé e la via di una riconciliazione con il suo vissuto invitando a casa sua figlia Ellie (dopo otto anni) per darle un cospicuo mantenimento e aiutarla negli esercizi scolastici. Si apre così la possibilità di “fare almeno una cosa buona nella vita”, scoprendosi capace di empatia, sensibilità e premura, con cui pazientemente entra nella vita dell’adolescente, sua alter ego: giovane, ribelle, provocatoria e rude. La personalità “ingombrante” e pedante del padre provoca un capovolgimento della situazione, in modo tale che sarà Ellie a mostrare le sue cicatrici e a lasciare le sue corazze e un senso di misantropia (soprattutto verso il papà, da lei visto come un mostro). Da questo punto in poi, come per incanto, i personaggi che ruotano come trottole intorno all’immobile Charlie sentono il bisogno di aprire il cuore in quella casa come in un grande confessionale: sbagli, cadute, delusioni, rancori, lacrime… tutto viene consegnato nei colloqui che, l’uno con l’altro, intrattengono.

Intanto il protagonista ha trovato la sua ragione di esistenza: far sì che sua figlia scopra la bellezza che porta nel cuore, la perla preziosa che la sua adolescenza ferita ha nascosto nei fondali del tempo; esprimere la sua fame di affetto e di paternità che da dentro la stava divorando; sganciare tutto il suo livore, gettare via tutto il veleno rimasto nel cuore e capire che suo padre è tornato, è lì per lei pronto a custodirla e amarla di nuovo. Forse Charlie è l’unico che crede davvero in Ellie, vede oltre la scorza una ragazza speciale, mentre sua madre, pur vivendo sempre con lei, non ha visto altro che un’apparente cattiveria e ingratitudine. A sua volta la giovane diventerà per lui la vera àncora di salvezza: spronandolo e criticandolo (spesso in modo beffardo) cerca di aprirgli gli occhi sull’assurdità del suo ripiegamento e fa quel che può per invitarlo a mettersi in piedi, senza deambulatore (fuor di metafora, senza scuse né false sicurezze), per venire incontro a lei.

Brendan Fraser è dunque salito in cattedra, da vero professore: nel film ci insegna che la nostra salvezza passa per come ci spendiamo pur di ridare vigore e splendore alle vite spezzate e ingarbugliate del prossimo. Per lui un vero autore (nella letteratura come nella vita) deve mettere da parte le barocche descrizioni e i prolissi ragionamenti, come per girare intorno ai veri problemi, e saper tracciare – anche con rabbia – una sola riga, una sola, che sappia raccontare sinceramente il proprio dramma e le proprie speranze. Il suo stesso riscatto ci stuzzica sull’idea che spesso abbiamo di Dio: è più facile accettare che da lontano, nel cielo, ci sia un giudice che ci punta il dito e ci condanna per i nostri errori, che un Padre che entra in punta di piedi nel nostro buio interiore e, da dentro, riesce a far prorompere la pienezza della vita in opere di vero amore, ridando forza alla scintilla nascosta tra le nostre ceneri.

 

Corrado Grimaldi

(Comunità III anno)

 

Titolo: The Whale

Anno e luogo di produzione: 2022, Stati Uniti

Durata: 117’

Genere: drammatico

Regista: Darren Aronofsky

Tratto da: The Whale, opera teatrale di Samuel D. Hunter (2012)

Cast: Brendan Fraser, Sadie Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha Morton, Sathya Sridharan

Riconoscimenti: 2 premi Oscar (miglior attore a B. Fraser; miglior trucco e acconciatura)

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