Caravaggio, La vocazione di San Matteo,
1599-1600, olio su tela, 322×340 cm,
Cappella Contarelli,
Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma.
L’opera “La vocazione di San Matteo” è sicuramente uno dei dipinti più conosciuti di Caravaggio; con la sua bellezza cattura l’osservatore che si sente parte integrante della scena che gli si svolge dinanzi. Il mistero di Dio sembra farsi più vicino e l’idea di un Dio che si fa uomo e che ci chiama ad una vita piena con Lui sembra farsi concreta. La grande protagonista dell’opera è la vocazione, con tutte le sfumature e reazioni che genera. Essa proviene dall’alto e si presenta come una luce che rischiara le tenebre di una vita spenta. Questo è proprio ciò che accade nella “Vocazione di San Matteo” di Caravaggio.
È possibile fare una lettura dell’opera partendo da destra, precisamente dal punto in cui sorge il fascio di luce che illumina la scena. I personaggi presenti sono immersi in un’atmosfera cupa e fredda, priva di alcun dettaglio architettonico; ad eccezione di una finestra collocata in alto, con gli scuri aperti ed i vetri impolverati. Essa si contrappone alla luce che proviene dal lato in cui Gesù e Pietro fanno il loro ingresso nella scena. Da un lato vi è una finestra chiusa che non lascia trasparire luce, dall’altro lato vi è un’inondazione di lucentezza che irrompe in tanta freddezza. Quest’antitesi si innesta perfettamente nel tema dell’opera, ovvero, la luce di Cristo contrapposta alla chiusura del nostro animo.
È possibile dividere il dipinto in due grandi sezioni, la prima che contiene Gesù e Pietro e la seconda che vede come protagonisti i cinque uomini seduti attorno ad un tavolo. La figura di Gesù è in gran parte coperta da Pietro, ad eccezione del volto e della mano destra che è puntata verso i cinque uomini che si trovano dinanzi a lui. Il volto di Cristo è estremamente sereno; i muscoli facciali non lasciano trasparire un particolare stato d’animo, oltre alla mitezza che Egli emana. Lo stesso volto è immerso nell’oscurità dell’ambiente ma alcuni tratti del viso, in particolare le guance ed il collo sono rischiarati dal fascio di luce originario. Anche il modo in cui il Signore solleva la mano ci fa comprendere con quanta delicatezza egli fa il suo ingresso nella scena. Non entra con forza ma con la delicatezza tipica di un Dio che è amore, amore libero. Perfino l’indice puntato, che per antonomasia è il simbolo del comando, in questo caso non incute timore ma si integra perfettamente con questo spirito di serenità che caratterizza la figura di Gesù. Osservando attentamente la mano è possibile notare che Caravaggio si è lasciato ispirare dalla “Creazione di Adamo” di Michelangelo, essa corrisponde perfettamente alla mano di Adamo. Non è un particolare di poco conto o un semplice omaggio all’artista fiorentino ma è un dettaglio che porta in sé un profondo senso teologico. Ad un primo confronto risulterebbe strana la scelta di usare la mano di Adamo e non quella di Dio Padre per il Figlio Gesù; tuttavia questa scelta di Caravaggio vuole porre l’accento sull’umanità di Cristo. Uno dei titoli cristologici più usati è quello di “Nuovo Adamo”; Adamo, infatti, è prefigurazione di un altro capostipite dell’umanità, quello vero, quello che dona a tutti la vita eterna, Gesù Cristo. Scrive San Paolo nella lettera ai Romani: “Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm 5,17-19). Nell’opera non vi è alcuna connotazione particolare che ponga l’accento sulla divinità di Cristo, ad eccezione di una delicata aureola. La figura di Gesù fa trasparire anche sicurezza e stabilità; è un connubio perfetto tra l’agnello mansueto che si lascia immolare per la salvezza degli uomini ed il Dio che è la nostra roccia ed il nostro liberatore, come canta il salmo 17.
Pietro è raffigurato come un uomo anziano che attraverso la gestualità entra in dialogo con Gesù. Anche lui punta il dito verso i presenti ma la sua mano, a differenza di quella di Cristo, è incerta; è in cerca di conferma. Con la sua figura, Caravaggio vuole comunicare l’importanza della mediazione operata dalla Chiesa; la presenza di Pietro ci ricorda che la via della salvezza passa attraverso la Chiesa.
Una grande differenza intercorre tra gli uomini seduti al tavolo ed i personaggi di Gesù e Pietro; oltre alla collocazione spaziale ed alla postura, seduta dei primi ed eretta dei secondi, è l’abbigliamento un fattore centrale di differenziazione. Cristo e l’apostolo Pietro indossano delle tuniche e sono scalzi mentre gli altri personaggi sono abbigliati con i vestiti tipici del tempo in cui l’artista vive. Il significato è strettamente collegato al tema della vocazione; essa è rivolta a tutti gli uomini di ogni tempo. A questa temporalità umana si unisce l’atemporalità divina.
L’altra parte dell’opera ha come protagonisti i destinatari della vocazione. Attorno ad un tavolo sono seduti cinque uomini. Tutti indossano abiti suntuosi che lasciano trasparire benessere, Caravaggio, attraverso questi uomini, rappresenta i pubblicani che riscuotevano le tasse. Essi erano etichettati come ladri e traditori perché si ponevano al servizio dei Romani. Ognuno di loro, all’arrivo di Gesù ha una reazione diversa. Attraverso di loro, Caravaggio ci mette dinanzi i vari modi con i quali possiamo rispondere al Signore. È un’opera che parla agli uomini di ogni tempo e che in modo unico riesce ad unire le tante particolarità che ci caratterizzano nella nostra umanità. Come già detto all’inizio, il Signore non forza nessuno; il Suo è l’amore vero, l’amore che non imprigiona ma che lascia liberi. Non siamo marionette nelle mani del Signore ma figli amati, con un padre che continuamente ci sprona e ci invita a seguirlo ma che non pone mai un cappio al nostro collo. Sta a noi decidere se lasciarci illuminare dalla Luce oppure chinare il capo, chiuderci in noi stessi e fare della nostra vita una tana di risentimenti e di insoddisfazione, proprio come il giovane che è seduto di fronte a Gesù. Egli all’arrivo del Maestro, benché senta la necessità di alzare lo sguardo, resta chinato su sé stesso e continua nel suo compito di contabilizzare le imposte. Si percepisce la lotta interiore che lo abita ed in particolar modo la rabbia che si genera in lui nel non riuscire ad alzare lo sguardo. Gli basterebbe poco, un minimo sforzo perché appena incrocerebbe il volto di Gesù non sarebbe più lo stesso. Ciò che ci salva, infatti, non è il cambio di vita immediato, quello è un passaggio successivo, consequenziale ma è l’incontro con il vero volto di Dio. Lui ce l’ha di fronte ma il suo io è troppo grande e non gli permette di uscire fuori di sé e trovare l’Altro. In lui però è presente un grande segno di salvezza, la lotta, non si è arreso; la scena sembra continuare, tanto che, fissando a lungo il dipinto sembra quasi che il giovane stia per farcela ad alzare lo sguardo. Questo personaggio è così dinamico e vivo che molti studiosi, soprattutto negli ultimi anni, lo hanno identificato come Matteo. Tuttavia la maggior parte degli studiosi è concorde nell’ attribuire la figura di Matteo all’uomo che si trova al centro e con il dito indica sé stesso. Il suo sguardo è incredulo e sembra chiedersi se Gesù si stia riferendo proprio a Lui. È lui sicuramente il destinatario principale della chiamata di Cristo in quest’opera ma Caravaggio, attraverso gli altri personaggi vuole mostrarci l’universalità della chiamata. Gesù non si rivolge ad un gruppo ristretto di persone ma la sua chiamata, che è innanzitutto una chiamata alla vita, è rivolta a tutti. Gli occhi di Matteo comunicano la meraviglia dell’incontro con il Signore Risorto, è raggiante e stupefatto, il suo volto è rischiarato dal fascio di luce che proviene dall’alto e che può essere interpretato come la luce dello Spirito che illumina le nostre vite, indirizzandole a Cristo. Matteo è pronto ad alzarsi, questo ci è testimoniato dal movimento delle sue gambe, trepidanti di correre verso Gesù, maestro e datore di una vita nuova.
La reazione degli altri tre personaggi è completamente diversa. L’uomo anziano, che si trova alla sinistra del giovane che conta il denaro, non alza lo sguardo, restando indifferente a ciò che accade attorno a lui. Gli altri due giovani, più vicini a Gesù, si volgono verso Gesù ma non riescono a cogliere la grandezza dell’evento. La loro reazione può essere accostata alla parabola del seminatore, in particolare ai semi che cadono sulla strada; e come dice Gesù sono l’immagine di coloro che accolgono la Parola con gioia ma non hanno radici e subito secca. L’opera porta con sé questo grande insegnamento, la chiamata di Dio non è un obbligo ma è la promessa di una vita piena in Lui.
Matteo Buonamico
Comunità I anno