Si tratta di vivere entro lo stato d’assurdo

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Si tratta di vivere entro lo stato d’assurdo

Con la pubblicazione, rispettivamente nel 1942 e 1947,  de Lo Straniero e La Peste, Albert Camus decide di esporre tematiche esigenti e in se stesse complesse: l’estraneità dell’uomo alla società e all’intero universo, l’incolmabile solitudine dell’umano e l’esistenza di un male invisibile che ripiega l’umanità su sé stessa.  Tra le righe di questi due romanzi si nasconde un’attualità disarmante: si tratta di pagine che descrivono l’inettitudine sociale e il catastrofico evento della pandemia in cui l’uomo del XXI secolo si ritrova oggi catapultato.

Protagonista de Lo Straniero è Meursault, un tipo apatico, di origini francesi, abitante di Algeri, che vive nel suo vuoto emotivo e nella totale indifferenza, spento emotivamente e spiritualmente. Così l’autore immagina l’uomo del suo tempo. Ci viene presentata la sua indifferenza fin dalle prime righe, quando viene a sapere della morte della madre: «Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so»[1]. Il lettore non può non impallidire di fronte all’impassibilità di una così straziante notizia. La vita di Meursault viene presentata come un susseguirsi di scene caratterizzate da un profondo disinteresse e da una stravagante abulia: l’insensibilità con cui affronta la morte della madre, la freddezza rispetto alla notizia di un posto di lavoro all’estero, la mancanza di senso nel rapporto con Marie pieno di silenzi e vuoto di complicità. Un personaggio tanto diverso da come noi immaginiamo noi stessi, ma tanto vicino alla nostra assurda esistenza e alla percezione che sovente abbiamo di essa. Persino nell’ora più buia della sua vita, dopo aver ucciso un arabo, subìto un processo ed essere stato condannato a morte, non cerca giustificazioni né rifugio nella religione, ma dichiara di non credere in Dio[2], anzi negli ultimi momenti della sua vita riflette su quanto l’intero universo sia assurdo, indifferente e illogico rispetto alla realtà che lo circonda. Tra queste pagine si fa spazio la complessità della vita, fatta di non facili soluzioni. Ne La Peste Camus presenta una risposta a Lo Straniero, un racconto costruito e inserito in un panorama pandemico, in cui appare completamente allo stremo la città di Orano. Questa risposta non risolve l’incertezza e la condizione in cui versa l’uomo, ma consapevolizza la realtà, la rende accessibile, plasma la cecità istintiva in cui il cittadino di Orano si trova immerso per far spazio, in un secondo momento, alla solidarietà: modo di reagire di una comunità rispetto alla disgrazia inaspettata. L’uomo fa i conti con le sue paure, le sue insicurezze, non è abituato a veder morire, ma riconosce nella peste “un’interminabile sconfitta”[3], un flagello che può combattere solo attraverso la coralità di un gruppo di persone che resistono insieme, accomunati da uguali timori.

L’attualità di questi due romanzi è struggente. Ognuno di noi potrebbe rispecchiarsi in un atteggiamento, un modo di fare, qualche personaggio, descritto da Camus. Righe che intrecciano mistero e imprevedibilità e permettono a queste tematiche di parlare alla nostra vita ed essere a noi contemporanee.

[1] Lo straniero, introduzione di Roberto Saviano, tr. di Sergio Claudio Perroni, Bompiani, Firenze, 1947, 20193, 19.

[2] “Ho risposto che non credevo in Dio. […] Lui voleva ancora parlarmi di Dio, ma mi sono avvicinato e ho cercato di piegargli un’ultima volta che restava poco tempo. Non mi andava di perderlo con Dio” (Cf. Ibidem, 150-154).

[3] A. Camus, La peste, tr.it. Yasmina Malaouah, Bompiani, Firenze, 1947, 202014, 140.

 

Matteo Parisi

Comunità di III anno

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