La riflessione sul corpo, sul mio immerso in questo mondo in mezzo a un numero infinito di altri corpi, credo sia stata talmente centrale nella mia vita personale e artistica, da somigliare a volte a un’ossessione. Ho notato, provando a osservarla senza coinvolgimento, quanto l’eccessiva attenzione verso questo argomento, non fosse personale, ma collettiva, talmente radicata da sembrare atavica. In un’epoca in cui il reale coincide con il materiale, la domanda esistenziale “Chi sono io?” trova sempre e solo una risposta: “il mio corpo”.
Proprio l’irrequieta insoddisfazione che dentro di me cresceva ogni volta che la realtà suggeriva questa riduttiva definizione dell’identità, mi ha condotta al Teatro, una dimensione in cui per citare Luigi Pirandello “…la vita non conclude”.
Lasciando per un attimo da parte la necessità di ricevere una precisa identificazione e addentrandomi invece in uno specifico agire, misteriosamente ho scoperto quanto illimitato fosse il valore del mio corpo, spogliato dalle accezioni, dalle idee e dalle abitudini con cui lo descrivevo piuttosto che viverlo.
Da questa profonda ma non immediata liberazione, ha avuto inizio un percorso di ricerca, studio, osservazione e pratica sul palco, attraverso cui indagare il valore artistico, politico e sacro del corpo.
Jerzy Grotowsky, un grande pedagogo teatrale, usava la definizione di “attore santo”, per restituire quella predisposizione al sacrificio, inteso come rendere sacro un atto: “Il corpo deve liberarsi da ogni resistenza, deve praticamente cessare di esistere.” (Per un teatro povero)
Questa esperienza di resa-attiva, conduce straordinariamente a mio avviso verso un uso organico del corpo dell’attore, scevro da riflessioni esteriori legate a pudori, censure o al contrario provocazioni e facili scandalismi.
Il mio corpo è un alleato, il mio primo compagno di scena, per cui nutro lo stesso rispetto che riservo ai colleghi e agli spettatori, ma rimane uno dei tanti mezzi espressivi, quindi al servizio di una complessità più grande, sia in scena che nella vita.
Questo richiede di essere vigili e consapevoli, responsabili di ogni simbolo, archetipo, di ogni forma di dissidenza o ribellione per cui si offra il proprio corpo, pur restando sempre a mio parere, il più possibile puri come i bambini che non sono ancora contaminati da giudizi e convenzioni formali.
La mia personale esperienza mi porta a interrogarmi spesso su quanto sia difficile mantenere questa purezza, data la valanga di commenti, giudizi, lusinghe, accuse, censure e provocazioni a cui si può essere sottoposti per un nudo scenico o semplicemente per una qualunque altra forma di esposizione fisica anche più sottile. Ma rimane per me una delle forme di resistenza più profonde a cui dedicare le proprie energie.
Nudo, vestito, bello, brutto, sano, malato, forte, debole, sono definizioni tanto automatiche quanto superflue, che non riescono a contenere il mistero di un organismo vivo che pulsa di fronte a noi, un mistero che io trovo commovente e che mi auguro rimanga sempre tale.
Federica Carruba Toscano
Attrice