Una sera a teatro: tra realtà e immedesimazione

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Una sera a teatro: tra realtà e immedesimazione

“Il cucullo non fa il nido ma vola sul nido degli altri uccelli”.

Parole che, per chi legge o le ascolta senza sapere il perché, sembrano essere una ricerca nel campo dell’ornitologia, ma se calate nell’opera teatrale “Qualcuno volò sul nido del cucullo” assumono un significato del tutto diverso in quanto, oltre ad essere il cuore dell’intera opera, ne delineano i tratti del tutto paradossali.

Lo scorso venerdì, su invito dei formatori, siamo stati nel bellissimo Teatro Bellini di Napoli, per gustare l’arte e la cultura, che sono sempre un’opportunità per cogliere l’umano che ci circonda. Un tempo di pausa fatto di emotività e riflessione.

La trama al quanto ironica e a tratti commovente, scritta originariamente nel 1962 da Ken Kesey, che poi divenne la base per la sceneggiatura dell’omonimo film nel 1971 con Jack Nicholson nei panni del protagonista e che ora, grazie al riadattamento di Maurizio de Giovanni e la regia di Alessandro Gassmann assume un volto più “nostrano”, mette in luce un modo di fare che caratterizza anche la nostra società odierna: l’essere persone “tiepide” che, per paura di rompere gli equilibri, non hanno il coraggio di esporsi, facendosi vittime del condizionamento.

Dario Danise, un fuorilegge campano un po’ troppo sopra le righe, per scampare ancora una volta alla galera viene rinchiuso dentro l’ospedale psichiatrico di Aversa degli anni ’80, gestito da suor Lucia, donna temuta e manipolatrice. Fin dalle prime battute, è evidente come i pazienti vengano oppressi mentalmente e fisicamente dalla suora, addetta alle cure terapeutiche, e dai suoi collaboratori, denunciando così un volto e una mentalità retrograde di società ma, al tempo stesso, di Chiesa chiusa e opprimente.

L’ingresso di Dario e della sua colorata personalità porta, all’interno di quel luogo grigio e privo di speranza, una ventata di allegria tanto che i “pazzarielli” (così definiti dal protagonista) non sono più solo dei pazienti e basta, ma iniziano a sentirsi “normali”, ribellandosi, pian piano, ai soprusi di suor Lucia, probabilmente l’unica vera pazza in quell’ospedale, il cui unico obiettivo è avere il controllo sulle persone fragili. Dario diventa “l’intralcio” di suor Lucia, il “fuori legge”, che non sta alle regole repressive, ma che assume come unica “legge” il bene dei suoi amici pazzarielli.

Il dispiegarsi delle vicende e i risvolti che portano alla conclusione, ci mostrano che niente e nessuno può impedirci di essere noi stessi e che quella libertà, che molto spesso confondiamo con l’evadere da ciò che ci opprime, è proprio quella ad intrappolarci: la morte celebrale di Dario attraverso un intervento chirurgico voluto dalla suora (conseguenza della sua ribellione al sistema) può apparire come la fine di un “mondo che scomoda”, ma in realtà apre al coraggio di evadere da quella normalità accomodante e a vivere, da parte degli altri, una libertà liberata.

La bellezza dell’andare a teatro sta di fatto non nella bravura degli attori ma in quanto essi riescano a farti immedesimare nelle vicende che, con la loro arte, narrano: la storia di Dario e dei suoi amici “pazzarielli” vuole essere da sprono a scrutare la realtà e noi stessi con occhi diversi. A volte tendiamo a reprimere ciò che del nostro essere può sembrarci fuori dalle righe, per mantenere un falso equilibrio con gli altri; ma in fondo è proprio ciò che ci rende “unici” e, potremmo dire, ciò che ci rende tutti un po’ pazzi.

Fiorentino Andolfi

(Comunità IV anno)

 

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