È forte la parola che questa seconda domenica di quaresima ci offre. Dopo le tentazioni nel deserto il nostro cammino verso Gerusalemme continua, giungendo ora sul monte Tabor, dove insieme ai discepoli facciamo esperienza della Trasfigurazione del Signore. La nostra vita spirituale è un po’ come questo cammino, nel rapporto con il Signore a volte siamo chiamati a vivere l’aridità del deserto, altre volte a camminare in terre piane, altre volte ancora a salire con lui sul monte con gli apostoli, per fare una nuova esperienza di lui, per scoprire un nuovo volto di lui. Questa dinamicità del cammino non deve spaventarci anzi deve rallegrarci, perché ci dona la consapevolezza che il nostro rapporto con il signore è un rapporto vivo, acceso. Il segreto di ogni cammino anche se a noi fa fatica, è lasciarsi condurre, senza porre troppe domande, perché solo cosi riusciamo a gustare a pieno ogni nostro singolo passo, ogni singolo sentimento, solo cosi siamo veramente coinvolti. Il vangelo di Luca sottolinea che i discepoli insieme a Gesù vanno sul monte, che è il luogo dell’incontro con Dio, ed è qui che facciamo esperienza della divina bellezza della trasfigurazione, che ci permette in un certo senso di assaporare la meta a cui siamo destinati. Gesù nella sua trasfigurazione ci permette di gustare un pezzetto di paradiso, ci permette di gustare quello che è la nostra sorte futura. Preparando questa breve riflessione mi chiedevo che relazione c’è tra la gloria e il paradiso che sperimentiamo sul monte Tabor e la sofferenza, la disperazione che stiamo vivendo in questi giorni? Come ci aiuta l’esperienza del monte Tabor a rispondere alla rabbia e alla disperazione che provano i nostri fratelli che vivono il dramma della guerra? Essere discepoli ci da gioia, ma significa anche farsi carico della croce. La gioia del Tabor e la sofferenza del Calvario vanno tenute insieme, perché sono i due vertici di un unico grande mistero, perché è solo scrutando nei segni della passione che raccolgo i frutti della resurrezione. Dopo quell’esperienza di Paradiso, Pietro avrebbe fatto volentieri delle tende, proprio per continuare a gustare quella realtà, ma Gesù non lo permette, ma insiste affinché essi scendano a valle. Questo perché la nostra vera partecipazione alla grazia della trasfigurazione avviene solo non isolandoci dalla sofferenza del mondo, ma coinvolgendo noi stessi con essa. La nostra vita quotidiana è trasfigurata esattamente nella misura in cui ciascuno, nella propria situazione, condivide la sofferenza, lo scoraggiamento di coloro che sono attorno a noi. Solo cosi potremmo essere noi stessi per gli altri i segni della resurrezione di Gesù. La trasfigurazione di Gesù, dunque non ci fa evadere dalla sofferenza, ma rende la nostra sofferenza portatrice di vita, come ci ricorda san Paolo : “morenti, eppure viviamo…, afflitti, ma sempre lieti.