Omelia di S.E. Mons. Di Donna Vescovo di Acerra
Abbiamo ascoltato nella prima lettura il brano di Isaia che ci sta accompagnando in questo tempo di Avvento. Il tempo di avvento è il tempo delle antiche profezie che la parola di Dio ci fa ascoltare ogni giorno. Oggi Isaia parla della città di Gerusalemme che sarà abbattuta e coloro che stanno dentro di essa si credono garantiti, quelli che dicono abbiamo una città forte, costoro saranno costretti a vagare. Ma come al solito ad un annuncio di rovina c’è sempre un annuncio di speranza in questo brano di stasera nella città abbattuta un altro popolo entrerà e inizierà dal basso la ricostruzione; i piedi la calpestano sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri. È un’immagine questa che indica molto bene il nostro tempo, un tempo di passaggio, in un passaggio d’epoche, siamo in un passaggio tra un cristianesimo e un modo di vivere della fede che ormai è in agonia e sta in sala parto. “Un mondo che cambia” era questa l’espressione che i vescovi italiani nelle note degli orientamenti pastorali del 2000 usavano spesso e voi vi preparate ad essere presbiteri in questo mondo che cambia. Credo che il cambiamento sia la cifra più evidente del nostro credo almeno nelle annualmente nostre società occidentali. Un passaggio che riguarda il mondo e che riguarda anche noi Chiesa, perché la Chiesa è nel mondo espressione che i Padri del Concilio vollero espressamente già nel titolo di un documento importantissimo che è la Costituzione Conciliare “La chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et Spes”. Il cambiamento vertiginoso che viviamo nel mondo è anche il cambiamento che inevitabilmente interessa anche i credenti, la chiesa non è fuori dal mondo non è del mondo ma è nel mondo. Più che indurre al lamento o allo scoraggiamento o più che irrigidirsi in forme ormai superate, che appartengono anche ai giovani, accettiamo di stare nel cambiamento, di misurarci con questo mondo che cambia, nelle trasformazioni atto discernendo in esse i segni di quel regno che noi invochiamo, che deve venire.
In questo mondo che cambia voi che sarete attori protagonisti un giorno qual è il primo atteggiamento da privilegiare? Non ho dubbi, ve lo consegno questa sera in questa celebrazione, è mettere al centro l’incontro personale con il Signore Gesù. Sempre quella domanda risuona nella storia, “Mi ami tu? Pasci”, il pascere è direttamente collegato all’amore verso di noi, amoris officiium diceva Sant’Agostino, è un ufficio d’amore nel pascere il gregge del Signore; chi non ama non può pascere. L’amore al Signore è la condizione principale per l’incontro personale con Lui, che è l’unico che non passa in un mondo che passa; dalla quale età, di questa relazione personale coltivata nel tempo fin da questi vostri anni giovanili, dipende tutto il resto. La cura della vita interiore credo che sia la prima attività pastorale. Ve lo disse proprio a voi seminaristi di Posillipo due anni fa Papa Francesco, educare secondo lo stile ignaziano vuol dire Innanzitutto favorire nella persona l’integrazione armonica a partire dalla centralità della relazione di amicizia personale con il Signore Gesù; io posso solo aggiungere l’invito a rimanere fedeli a questa parola che vi ha consegnato il Papa 2 anni fa.
Il Vangelo di questa sera riporta questa parola del Signore “Non chi dice Signore Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio”. Sappiamo come il Vangelo secondo Matteo insiste su questo fare, aspetto operativo della fede. È un invito per me e per voi a vivere un fecondo rapporto tra vita e fede, tra fede e opere, tra vita e teologia dal momento che voi studiate la scienza della fede, un rapporto soprattutto tra fede vissuta e fede pensata. Le domande del vostro popolo da cui voi provenite, che non dovete mai dimenticare, la gente di cui voi siete espressione, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni devono entrare nella vostra fede, nel vostro modo di fare teologia, nella vostra preghiera quotidiana, altrimenti la vostra fede sarà disincarnata, la vostra teologia e il vostro studio saranno accademici, astratti. Fate entrare le attese dei poveri come parte integrante della vostra vita e della vostra fede.
Vivete dunque l’Avvento. Ho sempre pensato che c’è una particolare sintonia fra il tempo di Avvento e la vostra condizione di giovani in formazione, Sono solito dire che il seminario non è un luogo, ma che è un tempo, in cui ci si forma. Si è di attesa, ma non di un’attesa vuota, come la sala d’attesa degli uffici. Attendere, cioè tendere a, attesa e attendere sono verbi di dinamismo di proiezione. Usando un’immagine dei giochi olimpici, il cristiano è come un discobolo che sta su di un piede solo sul terreno e quindi sbilanciato, proiettato in avanti preparandosi a lanciare il disco, così è il cristiano d’Avvento. Così chiedo che siate voi, in attesa del giorno che non è il giorno del Signore come ci dice la scrittura, ma sarà il vostro giorno. Immagino che lo attendete, lo sognate, lo desiderate. Ma fate che non sia un tempo vuoto e spero che non contiate i giorni in attesa della fine. Una volta si faceva la leva militare e sui calendari delle caserme si segnava ogni giorno che passava, si diceva meno cento giorni all’alba. Spero che voi non facciate così. Anche la vostra è certamente un’attesa, ma un’attesa d’Avvento.
Vi consegno dei verbi dell’Avvento, di chi si prepara a essere presbitero.
Il primo verbo è “sognare”: il tempo dell’Avvento è il tempo dei profeti e cosa fa Isaia se non invitare il popolo che è in forte crisi a sognare. i verbi del profeta Isaia sono verbi al futuro “il lupo dimorerà con l’agnello”, “non conosceranno più l’arte della guerra”, “trasformeranno gli strumenti di guerra in strumenti di pace”, ecco quindi il sogno. A Firenze il Papa quattro anni fa disse di sognare una chiesa italiana e l’anno scorso disse ai giovani che chi non sogna è anestetizzato. Se non sogna un giovane come voi alla vostra età cosa farete quando ne avrete cinquanta? Se questo è il legno verde, cosa ne sarà del legno secco? Se non sognate voi, chi altro lo farà? Sognate, sognate il vostro futuro, sognate i volti delle persone che vi saranno affidate nel vostro ministero sacerdotale. Desiderate, Agostino grande dottore del desiderio dice “la vita è la ginnastica del desiderio”, desiderio del desiderio, i sogni.
La seconda parola è “vegliate”, “vigilate”. È un verbo che usa Paolo quando manda a chiamare gli anziani della chiesa di Efeso negli Atti degli Apostoli, “vegliate su voi stessi e sul gregge che vi è stato affidato”. Vegliate su voi stessi poi un domani ci sarà da vegliare sul gregge, ma prima su voi stessi perché non prenda il sopravvento l’accidia. l’accidia, quella stanchezza interiore, quel non avere voglia di far niente, quel lasciarsi andare, la pigrizia in cui niente Sembra abbia la dignità di essere vissuto. L’immagine dell’accidia è il mobile delle nostre case, “non siate giovani da divano” dice il Papa. Il divano è un luogo pericoloso perché ci si sprofonda, ci si sdraia, gettati, lessi un libro di Michele Serra dal titolo terribile “Gli sdraiati”, lo chiusi dopo un po’ per evitare la depressione. Questa è l’accidia, chi si stufa di tutto. Vigilate perché il pessimismo sterile, la mondanità spirituale non prendono piede; vigilate perché il vostro ideale rimanga puro come il primo giorno della chiamata, come alle 4 del pomeriggio di cui parla l’autore del Vangelo. Vigilate, non adagiatevi nel compromesso, vigilate perché non trovino spazio in voi quelle tentazioni che l’allora Cardinale Montini che divenne Paolo VI mise in guardia i suoi preti a Milano nel 1959: “il calcolo del minimo sforzo, l’arte di evitare le noie, il fare lo stretto dovuto, il non di più, gli orari protettivi della propria e non dell’altrui comodità”; questo è lo stile da funzionari, da burocrati. Vigilate che la cultura del clericalismo che sta dietro gli abusi, non prenda piede in voi né oggi né mai. Il clericalismo consiste in una prassi che emarginano i fedeli laici, trasformando il clero in una casta che preserva se stessa. Rifiutatevi anche solo di pensare che vi state preparando per entrare in una casta, in una lobby protetta.
Il terzo verbo è “prepararsi”, “preparatevi”. L’avvento è tempo di Giovanni Battista che dice di prepararsi. Preparatevi bene, sì l’attesa è lunga, ma è necessaria. Questo bambino che deve nascere è stato atteso per millenni. San Charbel disse: “Ci sono volute tutte le fatiche del mondo, dell’uomo primitivo, la sapienza dei greci, la bellezza dell’Egitto, l’attesa di Israele perché questo virgulto spuntasse sul tronco di Iesse”. Ogni cosa grande viene preparata, è dove non c’è la preparazione adeguata, non percepita come dono. un canto delle nostre assemblea dice “Io so quanto amore chiede questa lunga attesa del tuo giorno o Dio”.
L’ultima raccomandazione è studiate. Vi parla un pastore che ha a cuore lo studio, i preti studiano poco e credono di campare di rendita con quella dottrinella teologica che hanno imparato nei 5 anni ammesso che l’abbiano fatta bene. Si racconta che Sant’Alberto Magno maestro di Tommaso d’Aquino, stesse studiando nella sua cella quando gli apparve il diavolo travestito da un confratello, compagno di seminario, che tentò di convincerlo del fatto che stesse perdendo tempo dietro lo studio; appena Alberto si fece il segno della croce l’apparizione scomparve. Io credo che noi di segni della Croce ne facciamo tanti, ma quella tentazione ancora non siamo riusciti a scacciarla.
Vi assicuro la mia preghiera perché voi possiate realizzare bene quel modello di prete di domani formandovi bene, oserei dire di arrivare a quel modello di prete “Made in Posillipo”. La chiesa è con voi, coraggio!
Lo stessso devono fare i laici…
Non basta ascoltare le omelie ma bisogna farle vivere nella propria vita. Perciò vigilero’e preghero’perché Gesù che viene a salvare il mondo lo protegga dalla superficialità, dalla distrazione di mille cose inutili e gli dia Pace.Preghero’
ro per me che sia veramente Lui il centro della mia vita.Affido a Lui le persone che amo!