Tra venerdì 22 e sabato 23 Marzo la comunità di seminario ha vissuto il ritiro di Quaresima guidato da Sua Ecc. Mons. Arturo Aiello vescovo di Avellino. Riprendendo il tema di quest’anno mons. Aiello attraverso un’analisi attenta del passo di Lc 15, 11-32 ci ha mostrato lo sguardo prodigo di misericordia di Dio. È nella relazione e nello sguardo con il Cristo che Pietro ha ritrovato sé stesso come il figliol prodigo nella parabola del Padre Misericordioso. Padre Arturo ci ha delineato il tema della misericordia attraverso 4 momenti fondamentali della parabola che sintetizzano i temi della vita cristiana: La perdita, la ricerca, il ritrovamento e la festa.
Quale padre? Quale figlio? Quale luogo? È un padre che guarda i suoi figli. Come un parroco che guarda la sua chiesa, la parrocchia, il paese, le strade, le piazze. Il senso di questa casa, di quest’uomo con due figli è definita nello sguardo. I figli crescono sotto lo sguardo del Padre. E i figli? I figli guardano fuori la loro casa, guardano i display dei cellulari, e non guardano a nient’altro che a sé stessi. Così finiscono per non guardano più il Padre. Uscire dallo sguardo significa ritornare alla notte (preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte, Gv 13,30). I padri vogliono scandire la vita dei figli. I padri dicono: “È ora di prendere il grano, fare la vendemmia, andare al mercato…”. Ma i figli vogliono fare solo vacanza. Allora il padre certe volte va a riparare i guai dei propri figli e ne prende carico.
12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Leggi
Uno dei due figli non ce la fa più. Vuole fermarsi. Il Padre già l’ha visto (Con un bacio tradisci il figlio dell’uomo?). “Dammi la parte del patrimonio che mi spetta” è una dichiarazione di guerra. “Padre…” così inizia la richiesta. È come tradire un padre con una carezza. Quante volte utilizziamo gesti che si rifanno all’amore ma ne rovesciamo il senso. Anche Bruto al Senato disse a Cesare: “Padre…”. Perché solo i figli possono dire col cuore la parola “padre”. Perché forse solo i figli sanno il punto debole e come uccidere un padre. Ma il padre è votato al parricidio. Noi sacerdoti non dobbiamo stancarci mai di sobbalzare alle richieste dette nei nostri confronti che iniziano con la parola “padre”. In noi sarà impresso il sigillo della paternità affinché possiamo diventare il sigillo del Padre. Eppure quante volte in noi c’è il desiderio di sfuggire dalla paternità? Ma questo figlio prepotente e arrogante è stufo di stare alla casa di suo padre e dice: “Basta, smettila di fare il padre buono. Lasciami respirare”. Questa è la genesi di ogni peccato. Questo figlio siamo noi. Noi che usciamo dalla porta. Come nasce questo atteggiamento? Nasce con un dubbio: Dio non è buono come veramente dice di essere. E così vediamo quel singolo frutto da non mangiare non come una legge che ci custodisce ma come una possibilità di piacere negata. Il padre ha un patrimonio da condividere con i figli. Dio ci ha donato dei doni, degli strumenti che però noi gli ritorciamo contro e proprio per questo noi siamo consapevoli che non possiamo peccare senza Dio? Non possiamo chiedere la parte che ci spetta se non ci è donata, se non siamo figli di un padre con un’eredità. Ma cosa mi spetta? Non mi spetterebbe niente. Sono figlio con un’eredità soltanto per pura grazia. Ma il nostro peccato è già verso l’orizzonte di una misericordia, siamo mantenuti in vita nonostante l’aver scelto la morte. Questo sentimento è quello che si definisce “la grazia del peccato”, ossia la grazia di percepire il peccato ed è anch’essa un dono. Noi deprediamo il patrimonio paterno, ma per quanto noi lo deprediamo è pieno ancora.
13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Leggi
Il figlio ha fretta (Quello che devi fare fallo presto), perché nel peccato sotto lo sguardo non riusciamo più a stare. Il figlio parte come se non ci fosse certezza per il domani. Va considerando la vita una grossa carnevalata. Ma il padre guarda. Lo sguardo è un evento umano fortissimo. Lo sentiamo quando uno ci guarda, anche se non sta nella nostra visuale. Aspetta che il figlio si volta a guardarlo ma non accade. A volte scopriamo lo sguardo di Dio più nel peccato che nella vita integra. “Dove fuggire dalla tua presenza?”, “Nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce” (Salmo 138, 7.12). Sembra vedere un padre debole, ma l’amore quello vero rende deboli. Ma è l’essere lontano dal Padre che ci fa sentire il desiderio di avvicinarci, di riavvicinarci. Ed è quando si vive nella lontananza che si è nell’amarezza. Anche le risate che noi pensiamo essere più spontanee in realtà sanno di amaro. Perché quando siamo lontano ci costruiamo la festa e la rendiamo esagerata. Ma c’è più tanta gioia in un sorriso che in una risata sguaiata. Senza aver conosciuto questa amarezza non possiamo capire chi si confessa. Dobbiamo conoscere la scuola del peccato e diventarne i maestri per non lasciarci dominare da esso.
14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.Leggi
Come Giona che fugge a Tarsis. C’è quella tempesta in mare aperto affinché la resa all’Amore di Dio venga presto. Dio vuole renderci consapevoli di essere nudi (come in Genesi). Più faccio esperienza di una carestia più mi rendo consapevole di non avere più niente. La nudità del peccato la si fa stando nel porcile, ossia nella consapevolezza di considerarci gli ultimi della terra. Allora possiamo dire: “Contro di te, contro te solo ho peccato” (Salmo 50). Solo in questo momento incomincia la grazia. La grazia del peccato. La grazia di riconoscerci peccatori.
17 Allora rientrò in sé stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Leggi
Il figlio rientrò in sé stesso. Forse era sempre stato fuori di sé. Estraniato dalla situazione ordinaria, dal semplice stupore. Essere fuori di sé significa stare in quella condizione specifica del vivere umano, decentrata già rispetto all’identità biografica e familiare: l’io cerca sé stesso, dunque non è in sé. L’io, invece, cerca la casa, la propria casa in cui abitare. Un figlio che nega le radici, che uccide il proprio padre si è collocato fuori dalla sua stessa vita. Non si può vivere una vita senza le proprie radici. Ma il primo passo dell’andare via è già il primo passo del ritornare. Il padre non lo ha mai abbandonato. Per Dio ogni luogo è lontano e vicino. Allora c’è bisogno di uccidere il padre per diventare padri. C’è bisogno di non sentirsi degni di essere chiamati figli. Questo naufrago che torna, lo hanno depredato e lo hanno lasciato mezzo morto sul ciglio della storia. Magro e stravolto dal male, perché satana ti deruba. La fedeltà del Signore, invece, dura per sempre.
20 Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciòLeggi
A questo punto inizia il pellegrinaggio del padre. In realtà anche questo padre è andato in esilio. Nella casa c’è stato un lutto e non si è fatto più festa. Anche per uno smarrito il padre va in lutto. La nostra fede non è la fede dell’uomo che a furia di fare palestra spirituale arriva a Dio ma in realtà è Dio che cerca l’umanità disperata. A volte si trova più giovinezza in un anziano. “Alzati… corriamo” sono verbi che troviamo anche nel Cantico dei Cantici. Ebbene si, è l’amore che fa correre. La compassione fa muovere verso qualcuno e allora “Il figlio gli si gettò al collo e lo baciò”. È il figlio a trovare approdo nelle braccia del padre e viceversa. Come l’abbraccio del Padre al Figlio sulla croce. Certe cose si possono manifestare soltanto con un abbraccio, un contatto. Come il bacio di san Francesco al lebbroso.
.21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Leggi
Il figlio caccia il suo atto di dolore preparato e da ripetere a memoria ma Il Padre non sa di che farsene della sua preghiera imparaticcia. “Un cuore contrito tu non disprezzi” (Salmo 50). Ma la contrizione è sempre limitata, perché se fosse perfetto non ci sarebbe bisogno del sacramento. Il sacramento va a colmare quello che non riusciamo a capire del peccato. Se conoscessimo fino in fondo il peccato impazziremmo. L’ignoranza del peccato è un atto di misericordia da parte di Dio. Frank Herbert diceva: “Coloro che vanno cercando l’amore, manifestano solo la loro mancanza di amore”. È come se dicesse che la mancanza è sempre mancanza di Dio ed è come se in ogni peccato ci fosse una voglia matta di Dio canalizzata in malo modo, concentrata in un solo punto. Il peccatore è l’assetato che pensa di esaurire la Sorgente solo per sé. Eugenio Montale in una poesia dice che tutte le immagini portano iscritto “più in là”. Questo più in là si chiama Padre. L’eccedenza è la chiave di questa relazione. Dio è esagerato. Se pensiamo di fare i contabili della Grazia noi ci poniamo fuori dal Vangelo. Dio poteva dire “redenzione sia” e saremo stati tutti salvati. Quello che fa essere e che rende salvi è lo stare in una relazione sempre eccedente. Se non capiremo questo staremo sempre nella logica relazionale del dare e dell’avere. Ma il padre quando è arrivato il figlio non lo ha messo in quarantena, quasi ad aspettare che il figlio dovesse meritarselo in qualche modo il perdono. L’unguento che cade dal vaso rotto dà sempre scandalo. Lo scandalo dell’eccedenza, dell’esagerazione e la potenza esplosiva del Vangelo. Guai ad avere la mentalità dell’economo perché così si gioca sempre al ribasso. L’amore richiede lo spreco. Lo spreco di tempo e di risorse.
25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28 Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Leggi
Ora c’è l’esilio del figlio maggiore che era nei campi e che viene a festa iniziata. Chiama un servo ad informarsi ma saputo si arrabbiò. Non ci salveremo se per allenare i muscoli della virtù utilizziamo gli anabolizzanti. Il Vangelo non è raggiungere la perfezione ma è il rendersi capaci di gioire di essere salvati. Sembra che la misericordia oggi non abbia più senso e che la si stia sostituendo alla giustizia che indica e fa morire. Sembra che una conversione come quella dell’Innominato grazie alla bontà del cardinal Federico oggi non abbia più spazio e dalla gente è come se fosse considerata ingiusta. Ma le persone più violente nell’accusa hanno più cadaveri sotto il letto. Dice l’autore dell’Imitazione di Cristo, in un passaggio: “Non si cammina impunemente in questo mondo”, a dire che anche le persone più sante, più perfette, camminando, ammassano polvere sotto il letto. La frase “c’è più festa in cielo per un peccatore ritrovato che per novantanove giusti” non è un invito a peccare. Attenzione alle debolezze che nascondiamo nell’armadio e che neanche vogliamo vedere. Questa debolezza ci esploderà in faccia. Ricordiamo che un carro carico di peccati tirato dall’umiltà conduce al cielo; un carro carico di buone opere tirato dalla superbia conduce all’inferno.
Omelia durante la Celebrazione Eucaristica della mattina
La durezza del cuore del fratello maggiore è imperturbabile. Ma questo fa capire che la contiguità non significa vicinanza. Salvatore Quasimodo in una poesia scrive: “Quando il fratello disse all’altro fratello: «Andiamo ai campi»”, quasi a ritornare alla genesi in cui Caino e Abele sono vicini, stanno insieme ma uno dei due odia l’altro. Il padre cerca di fargli capire che il fratello minore è risorto ma il fratello indispettito dice: “Tuo figlio…”. È come rinnegare di essere fratelli. Ma sono io forse il custode di mio fratello? (Gn 4,9) Il custode qui è divenuto l’aggressore, il nemico. I fratelli si odiano sempre nella Bibbia. È un’eccezione ed un miracolo trovare fratelli che si amano. Caino però fu risparmiato e fondò una città. Perché proprio una città? Perché nel caos di una città è più difficile guardarsi in faccia. Il fratello maggiore allora va all’attacco dicendo che ha sperperato il suo avere con delle prostitute. Fin d’ora non si era parlato nel passo di prostitute. Ma il fratello maggiore è informato, ha le prove, è l’accusatore. Si è custodi del proprio fratello, invece, solo quando siamo in comunione con il Padre. È così che ammiriamo il precipitare in modo inglorioso dei preti lodevoli in seminario ma che poi cadono. Cadono perché si sono fatti sempre custodi, sempre fratelli maggiori, ma non si sono mai resi conto di essere il figliol prodigo. La nostra categoria è più esposta al peccato di sentirci come palloni gonfiati, eroi e santi. Ma noi che siamo seminaristi ci aspettiamo di avere un trattamento migliore alla casa del Padre? La Chiesa non ha contributi da versare ma ha la coscienza. Per noi già è un privilegio stare all’altare ed essere vicino alla Parola. Ma la gioia di stare con Gesù la viviamo ora o aspettiamo altro o qualche ricompensa? Già l’essere vicino al Padre ed esserne amico dev’essere una gioia. Così che se per puro caso ci venisse al momento della morte un dubbio e una volta morti capiamo che è stato tutto una grande bugia, noi potremmo dire di aver partecipato ben volentieri a questa meravigliosa invenzione perché rende il mondo più felice. In questa dinamica quando saremo vecchi non faremo i preti arrabbiati. Certe volte non facciamo peccato più per paura, perché non l’abbiamo mai fatto e ci è più comodo dire “si è sempre fatto così”. Bene se agiamo in questo modo non agiamo secondo virtù ma abbattiamo la coscienza col pericolo di non sentirci più peccatori. Ma dai diamanti non nasce niente, è dal letame che nascono i fiori (De Andrè).