Con la celebrazione eucaristica comunitaria presieduta da padre Franco ha inizio l’anno formativo. I versi del canto d’ingresso che richiamavano il salmo 132(133) ci hanno sollecitati alla bellezza dello stare insieme per rispecchiare l’amore trinitario. Spunto richiamato durante l’omelia. La scena che il brano del Vangelo ci ha offerto è in continuo con il passo di Giovanni del maestro che insegna a pregare e padre Franco sottolinea l’importanza della preghiera e soprattutto dello stare attenti alla preghiera distratta, alla preghiera come mezzo per manipolare Dio, supplicandolo di farci superare un esame, e costruendoci così una visione distorta di un Dio che ci fa comodo. Ma la preghiera non è facile specialmente nel tempo della gioventù segnato da un forte attivismo che può farci perdere il senso. Dobbiamo ricordarci che il nostro Dio non è un dio come gli altri, capriccioso e ostile agli uomini ma il nostro Dio è padre, e come tale siamo chiamati alla figliolanza e quindi all’essere fratelli e profeti della fraternità. Ma è difficile perché la nostra figliolanza e quindi la nostra fraternità a volte è ferita e questo lo si può sperimentare dai nuclei familiari ai rapporti più grandi e in una visione più ampia anche la storia ce lo insegna con le macchie di violenza dalla rivoluzione francese al comunismo. In questo senso noi capiamo che la medicina a tutto questo è Gesù che ci dice «tra noi non è così» (tema educativo dell’anno), e che Lui è quel pane quotidiano che ci fa stare bene. Siamo chiamati allora a bussare, e a cercare di pregare con insistenza, ad essere come quei bambini capricciosi che sfidano chiunque pur di stare alla sua presenza e di stare nel suo cuore per entrare controcorrente nella storia di questa fraternità ferita dalle cattiverie, dalle vendette sproporzionate e dall’egoismo. Proprio su questa scia padre Franco ci ha letto una parte del passo 264 dell’Evangelii Gaudium:
«Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi […] è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri.»
E inoltre ci ha ricordato come noi siamo chiamati a custodire, coltivare e gustare questa fraternità tra di noi, nelle nostre comunità, nella comunità del seminario e poi man mano a cerchi concentrici nei nostri ambienti e nelle nostre città, senza correre il rischio di diventare “avanzi urbani” come egli stesso ci ha detto leggendo il passo 74 dell’Evangelii Gaudium:
«Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali […] Svariate forme culturali convivono di fatto, ma esercitano molte volte pratiche di segregazione e di violenza. La Chiesa è chiamata a porsi al servizio di un dialogo difficile. D’altra parte, vi sono cittadini che ottengono i mezzi adeguati per lo sviluppo della vita personale e familiare, però sono moltissimi i “non cittadini”, i “cittadini a metà” o gli “avanzi urbani”.»
Dobbiamo mostrare agli altri l’amore per la vita lasciandoci evangelizzare dalle piaghe di Gesù nelle persone. Una mistica della fraternità che non si risolve con una vita solo spirituale ma nella vita quotidiana e la Chiesa ce lo insegna e ce lo ha insegnato combattendo le fraternità ferite e le diseguaglianze costruendo ospedali, scuole, sindacati, insomma tutte cose che servono alla società tutta. Dobbiamo, allora, essere fieri di appartenere a questa Chiesa.
La Chiesa è un grande popolo fatto da uomini facili, basta guardarci, eppure abbiamo una singolare fede in Gesù e siamo chiamati ad essere lievito di fraternità nelle nostre comunità.